Data  23/12/2017 20:56:46 | Sezione Entrate Entrate

Maggiore autonomia all'Agenzia delle Entrate capace di truccare documenti per non perdere la causa.


La Gazzetta del Mezzogiorno
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L'incredibile episodio avvenuto a Bari, riportato da LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, mostra evidentemente qual è l'indole dell'Agenzia delle Entrate. Questa, a parte la disonestà del fatto, non solo si comporta come un litigante privato, mentre dovrebbe agire in posizione di terzietà, ma è sleale. Eppure il Parlamento le assicura maggiore autonomia.




Riproduciamo l'articolo di Giovanni Longo, apparso il 20/12/2017 su LaGazzettadelMezzoggiorno.it (http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/962955/bari-l-agenzia-delle-entrate-trucca-documento-per-vincere-una-causa-di-rimborso-iva.html)

Bari, l'Agenzia delle Entrate trucca documento per vincere una causa di rimborso Iva - Una data cancellata e riscritta in fotocopia: per i giudici tributari è una grossolana contraffazione" - 20 dicembre 2017 - di GIOVANNI LONGO.

"BARI - A volte c’è chi presenta carte false per vincere un processo. Ma se la «grossolana contraffazione» su una lettera di diniego a un’istanza di rimborso proviene dall’Agenzia delle Entrate, è il segno che qualcosa non va nel rapporto tra Fisco e contribuente. Una fotocopia galeotta, una data ritoccata, la firma su documento apposta da un dirigente che in quel momento prestava servizio altrove. La storia ruota intorno a questi elementi. Protagonista, suo malgrado, è un noto gruppo industriale della provincia di Bari.

Tutto ha inizio nel 2010 quando il Fisco contesta nove avvisi di accertamento del valore di svariati milioni di euro per vendite di beni tra società della holding a prezzi che la direzione provinciale di Bari dell’Agenzia delle Entrate riteneva non congrui. Al termine del giudizio, la società, assistita dall’avvocato Roberto Massarelli, vince in appello. Ma la partita prosegue. Il contribuente dal lontano 2006 vanta un credito Iva per oltre 200mila euro. Le istanze di rimborso vengono sistematicamente respinte: con iscrizioni a ruolo pendenti non si poteva rimborsare l’Iva, ragiona il Fisco. L’ultimo rigetto risale al 4 marzo 2014. Sin qui, nulla da dire.

Nel 2016, però, forte della vittoria nel contenzioso principale, la società presenta la consueta istanza, confidando, questa volta, nel suo accoglimento. Macché: l’Agenzia delle Entrate non risponde e la società impugna il «silenzio-rifiuto». In giudizio, arriva il colpo di scena: l’Amministrazione sostiene l’inammissibilità della domanda. A sostegno della tesi, deposita un diniego dell’istanza datato 4 marzo 2016. La società, assistita dall’avvocato Massarelli, sostiene che quella lettera altro non era che la raccomandata di due anni prima rivista e corretta: nella parte riservata alla data, con un tocco di magia, il «4» diventa «6» e il gioco è fatto. Come passa il tempo.

Una tesi condivisa dalla Commissione tributaria provinciale. «È provato in atti - si legge nella sentenza - che la nota del 4 marzo 2016 è mera riproduzione fotostatica della lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate in data 4 marzo 2014 in risposta ad altra e precedente istanza di rimborso». Non solo: «la nota del 4 marzo 2016, che mostra chiari segni di grossolana contraffazione della data aggiornata al 2016 è addirittura inesistente dal punto di vista giuridico»: il dirigente che, nel 2016, avrebbe dovuto firmare, in realtà era stato trasferito in un altro ufficio. Insomma, rimborso Iva riconosciuto e Agenzia delle Entrate condannata a rimborsare le spese. La sentenza, non impugnata, è ora è definitiva. Altro che «prove di dialogo» tra Amministrazione e «tartassati»".



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