fine giornata

è la rubrica con la quale il segretario generale dirpubblica (già dirstat-finanze) colloquia periodicamente con i colleghi e i simpatizzanti del sindacato, che hanno ritenuto iscriversi alla sua “mailing-list” personale, descrivendo e commentando fatti e novità raccolti nell’arco di un determinato periodo o, appunto, a … “fine giornata”.

 

Giovedì 31 marzo 2005

(il precedente è di Giovedì 17 marzo 2005)

 

Carissimi colleghi,

ieri sera all’Hotel Plaza a Roma, era presente anche la DIRPUBBLICA; abbiamo ascoltato Learco Saporito, Mario Baccini, Gianfranco Fini, Antonio Tafani, era presente finanche Renato Brunetta, il consigliere economico di Berlusconi, tutti a parlare (alla vigilia delle elezioni) di pubblico impiego e di contratti, mancava solo la Lega. È ovvio, non c’è da meravigliarsi che prima della consultazione elettorale si affrontino certi temi, il fatto è che dopo 4 anni di governo non ci sono stati “prodotti” (se si esclude l’embrione della vicedirigenza) che possano essere presentati per la “vendita”, per cui si è parlato de “l’isola che non c’è”. È inutile ripetere discorsi e riportare interventi che ognuno può immaginare e che oggi i quotidiani hanno ben riportato, si può solo dire che Fini ha parlato più di una volta dell’esigenza di conservare la “terzietà” del pubblico dipendente, della sua specialità di essere un “servitore della Nazione”, dell’incoerenza della “aziendalizzazione” delle pubbliche funzioni; si può riconoscere a Saporito di aver parlato con franchezza su quanto il governo, sebbene da lui sollecitato, non ha voluto fare, puntando il dito specialmente sulla questione della vicedirigenza (in un passaggio ha riconosciuto che il pubblico impiego è stato beffato dal Governo); forse, però, è meglio soffermarsi su ciò che, in quella occasione ed allo stato dell’arte, si poteva credibilmente fare e che non è stato fatto.

Per prima cosa Tajani e Brunetta avrebbero dovuto chiedere scusa per le offese che il “premier” Berlusconi ha rivolto a tutti gli appartenenti alla P.A. nel corso dell’arcinota conferenza stampa all’ambasciata italiana di Washington, del dicembre scorso, quando ha sostenuto che gli impiegati pubblici se “... si guardano allo specchio non dovrebbero essere tanto contenti”. Questo sarebbe stato un atto che avrebbe ricucito un rapporto fratturato da quelle ingiurie e che sicuramente sarebbe stato molto apprezzato, ma non è stato compiuto.

Un altro evento avrebbe potuto verificarsi e non si è verificato: la presentazione un “piano di rientro” con scadenze precise entro le quali completare una o più delle riforme promesse durante la campagna elettorale del 2001. Spoils-sistem? Vicedirigenza? Riapertura delle carriere? Ordinamento sindacale? Agenzie Fiscali? Riforma dei Ministeri? Incarichi esterni? Davvero, ci sarebbe stato l’imbarazzo della scelta, altro che discutere di uno o due punti di aumento per chiudere un contratto con parti sindacali che vivono di rendita (in tutti i sensi) rappresentativa e di bilancio (caf , immobili e patronati).

Ma l’Hotel Plaza era stracolmo!

Questo dimostra il teorema che la DIRPUBBLICA ha sempre affermato: quel 80% di sindacalizzati CGIL-CISL-UIL ha comunque partecipato (nel segreto dell’urna) alla vittoria della Cdl con la speranza di essere liberato (per gli effetti di giuste riforme che non sono state compiute) da un’appartenenza ritenuta “obbligata”.

Ma vediamo ora di raccogliere qualche elemento per le considerazioni finali:

1.       da una parte ci sono le riforme “Bassanini” (che l’opposizione non sconfessa) e dall’altra l’embrione della vicedirigenza (che è un embrione di ripubblicizzazione del rapporto e un embrione di carriera, che l’opposizione dichiara di voler sopprimere);

2.     il Ministro Baccini è partito in quarta per il pubblico impiego ma, fino ad ora, come risultato concreto (e molto importante), ha ottenuto che non venisse approvata dalla Camera dei Deputati la cosiddetta “NORMA PATTUMIERA” (quella che regalava la dirigenza generale agli esterni e ai funzionari) anche se, ad onor del vero, l’emendamento soppressivo fu presentato a Montecitorio dall’on. Gianclaudio Bressa, deputato della Margherita;

3.     le riforme della Costituzione “a colpi di maggioranza” sono iniziate durante la precedente legislatura ma quella attuale anziché correggere questo andamento lo ha incrementato.

In questo quadro, qualora possa concepirsi un ulteriore sostegno del pubblico impiego alla Cdl per le votazioni regionali e provinciali del 2005, certamente il voto dovrebbe indirizzarsi verso quei partiti della coalizione che, a giudizio dell’elettore (anche sulla base di quanto è stato detto sopra), abbiano la capacità e/o la possibilità di imporsi attraverso riforme importanti sul pubblico impiego, prima della scadenza del mandato.

 

Buon voto.

 

Vostro, Giancarlo Barra.

 

 


 

Tanto per non dimenticare Vi riporto l’intervista che Renato Brunetta ha rilasciato a IL TEMPO agli inizi dell’anno.

 

Da IL TEMPO di domenica 9 gennaio 2005

 

intervista a Renato Brunetta a cura di

LAURA DELLA PASQUA

 

«I DIPENDENTI pubblici sono troppi e ben pagati, quindi non sta ... né in cielo né in terra la richiesta sindacale dell’aumento dell’8% per il nuovo contratto. Il governo pertanto deve rimanere fermo sulla tesi di un incremento salariale del 3,7% non un euro in più e mettere in piedi un discorso sulla mobilità, sulle qualifiche e sulla valorizzazione della produttività. Se c’è poi un settore protetto dalla congiuntura negativa è quello dei dipendenti degli enti locali». Non è ancora stata fissata una data per la ripresa della trattativa sul rinnovo del contratto del pubblico impiego (se ne parlerà a metà della prossima settimana) ma il consigliere economico del presidente del Consiglio, Renato Brunetta, mette subito le cose in chiaro e traccia la linea che il governo dovrebbe seguire.

Lei dice che i dipendenti pubblici sono troppi e ben pagati ma sindacati non la pensano così se hanno chiesto un aumenti dell’8% per il nuovo contratto e criticano i tagli agli organici.

«Il contratto si potrebbe rinnovare subito senza stare tanto a discutere. Basta fare i conti di come è andato biennio-quadriennio precedente, vedere di quanto si è discostato l’andamento dei salari rispetto all’inflazione programmata e effettiva e sulla base di questo da un lato calcolare l’eventuale recupero e dall’altro fare i conti rispetto al biennio futuro. I numeri dicono che le dinamiche effettive dei salari nel settore pubblico sono andate dai 2 ai 4 punti al di sopra dell’inflazione effettiva. Il che vuol dire che i dipendenti pubblici hanno aumentato il loro potere d’acquisto. Se si dovessero applicare gli accordi di luglio i sindacati non dovrebbero chiedere nulla in più; piuttosto i lavoratori dovrebbero restituire quanto hanno preso in più rispetto all’inflazione effettiva. Ovviamente tutto questo non si può fare e quindi i sindacati dovrebbero quanto meno prendere atto del buon andamento delle dinamiche salariali del pubblico impiego e in base all’inflazione programmata definire le risorse disponibili che poi sono quelle messe in Finanziaria. Ovvero un aumento del 3,7%. Non dimentichiamo che ogni punto di incremento salariale vale un miliardo e mezzo di euro. Quindi in Finanziaria ci sono già oltre 5 miliardi di euro. Una cifra ragguardevole che include l’inflazione programmata a cui è stato aggiunto un incremento dello 0,4%».

Eppure i sindacati sostengono che l’inflazione reale ha decurtato le buste paga degli statali. Come la mettiamo?

«Le retribuzioni degli statali sono quelle che meglio si sono difese dall’inflazione. Quindi non ha senso la richiesta sindacale di un recupero dell’inflazione. Inoltre gli statali non subiscono la cassa integrazione, non rischiano di perdere il posto e in questi anni difficili hanno guadagnato di più del settore privato. Nel biennio-quadriennio precedente le dinamiche salariali degli statali hanno mostrato una capacità di autoincrementarsi a causa del miglioramento strutturale dei livelli. Sicchè è verosimile che se si parte da un aumento del 3,7%, stiamo certi che alla fine del periodo, gli stipendi degli statali saranno più pesanti di oltre il 5% come è avvenuto nel biennio precedente».

In base a quello che lei dice sembrerebbe quasi che gli statali anzichè chiedere aumenti dovrebbero quasi restituire dei soldi, o no?

«È un dato confermato anche dalla Banca d’Italia e dalla Ragioneria Generale dello Stato. Gli stipendi del pubblico impiego sono cresciuti più dell’inflazione effettiva. Sfruttando la normativa sono tentato di dire che sarebbe logico prolungare la vigenza contrattuale di un anno per assorbire gli sfondamenti che si sono già realizzati. Ma nessuno è così cattivo, però dico ai sindacati: siamo seri, l’aumento dell’8% è ingiustificato. Voglio aggiungere poi una cosa. Ci sono dipendenti che sono ancora più protetti».

Si torna sulla vecchia questione dei privilegi?

«Mi riferisco ai dipendenti degli enti locali; sono quelli che sono stati più protetti rispetto agli altri statali, in una situazione di congiuntura economica negativa».

Lei sostiene anche che gli statali sono troppi. Anche qui i conti non tornano se i sindacati invece affermano il contrario.

«I veri problemi del pubblico impiego sono quelli della mobilità, della produttività, delle carriere, della qualificazione. Se il blocco del turn over funzionasse veramente e si riuscisse a mettere in moto la mobilità ci sarebbero risorse enormi per migliorare la qualità del lavoro pubblico. Se invece il blocco del turn over non funziona e non si attua la mobilità è chiaro che il costo del pubblico impiego sarà sempre maggiore e la produttività più bassa. Ci sono problemi di eccedenze nella pubblica amministrazione e non c’è mobilità. Questa è solo il 2% ed è volontaria».

Come consigliere economico cosa dirà a Berlusconi?

«Il governo deve ribadire un aumento del 3,7% non un euro in più che è già tanto e affrontare un discorso sulla mobilità, sulle qualifiche, su come valorizzare la produttività».

 

 

Ed ora uno speciale sull’Agenzia delle Entrate.

Comunicato sulla questione degli incarichi dirigenziali ai funzionari non dirigenti

(le c.d. reggenze, che tali non sono !)

 

È a tutti noto che la Dirpubblica (già Dirstat-Finanze) ha da tempo intrapreso numerose iniziative non solo in campo sindacale ma anche in sede giurisdizionale finalizzate a garantire pubblicità e trasparenza nelle procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza nonché di conferimento degli incarichi dirigenziali, ottenendo, in un caso, l’annullamento di una procedura selettiva per 300 posti di dirigente nell’Agenzia delle Entrate indetta in violazione dei principi di cui all’art. 28 del D.Lgs. n. 165/2001, e, nell’altro, l’indicazione di tutte le posizioni dirigenziali disponibili, quale presupposto essenziale per ottenere il conferimento, in condizioni di trasparenza, pubblicità ed imparzialità, di incarichi dirigenziali.

In quest’ottica, è stato proposto ricorso dinanzi al giudice del lavoro, tutt’ora pendente, avverso una procedura di interpello indetta dalla Direzione Regionale per la Campania per il conferimento di incarichi dirigenziali, facendosi valere l’omessa fissazione dei criteri di scelta dei soggetti ai quali gli incarichi in questione sarebbero stati conferiti, ciò che costituisce il presupposto imprescindibile per garantire trasparenza ed obiettività nella gestione del personale dirigenziale.

Non solo. La stessa Dirpubblica già Dirstat-Finanze è intervenuta in giudizio al fianco del personale dirigenziale estromesso dal conferimento d’incarichi dirigenziali o al quale gli incarichi sono stati revocati o non confermati in attuazione di pratiche di “spoils- system” attuato finanche nei confronti di dirigenti di seconda fascia.

Le azioni intraprese dall’organizzazione sindacale, pur riguardando il conferimento degli incarichi dirigenziali, non si sono rivolte solo ed esclusivamente nella tutela degli interessi del personale già in possesso della qualifica dirigenziale, essendosi la stessa attivata anche al fine di conseguire una tutela degli interessi professionali del personale non dirigente in vista di un accesso alle qualifiche apicali (è a tutti noto l’impegno profuso, anche sul piano politico, per l’introduzione delle norme sulla vicedirigenza).

Da ultimo, la Dirpubblica (già Dirstat-Finanze) ha intrapreso un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, dinanzi al giudice amministrativo, avente ad oggetto la legittimità dell’art. 24 del Regolamento d’amministrazione, il quale prevede che all’atto del proprio avvio nonché nei primi tre anni di funzionamento dell’Agenzia la stessa avrebbe potuto conferire incarichi dirigenziali, mediante la stipula di contratti di lavoro individuali a termine, con i propri funzionari non dirigenti, prevedendo l’attribuzione in favore dei medesimi funzionari dello stesso trattamento economico previsto per i dirigenti.

Tale ultima previsione, unitamente alla circostanza per cui i suddetti incarichi sono stati corrisposti per lungo periodo di tempo e, soprattutto, per la copertura di uffici di nuova istituzione, costituisce una precisa indicazione dell’avvio di un processo di “liberalizzazione” degli incarichi dirigenziali, per il conferimento dei quali, a quanto pare, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di poter del tutto prescindere dal possesso della qualifica dirigenziale.

Come sempre avviene nella pubblica amministrazione, un simile processo di “liberalizzazione”, che costituisce un’autentica forzatura della vigente normativa sulla dirigenza pubblica, si è venuto stabilizzando mediante la proroga, di anno in anno, della vigenza dell’art. 24 del Regolamento di amministrazione.

La prima proroga al 31 dicembre 2004 è stata giustificata dall’Agenzia delle Entrate in considerazione della circostanza per cui l’espletamento del concorso pubblico non sarebbe stata resa possibile dal fatto che non era stato ancora emanato il regolamento di cui all’art. 28 del D.Lgs. n. 165/2001, che, per l’appunto, disciplina la materia dell’accesso alla dirigenza.

A seguito di istanza di accesso, l’Agenzia delle Entrate ha trasmesso una seconda delibera di proroga al 31 dicembre 2005 dell’art. 24 del Regolamento d’amministrazione adottata dal Comitato di Gestione, istituito a seguito delle puntuali censure proposte in sede di ricorso dalla Dirpubblica sulla legittimità della precedente delibera di proroga adottata dal Comitato Direttivo oramai decaduto dalle sue funzioni. Alcuni mesi dopo l’approvazione del regolamento di cui all’art. 28 del D.Lgs. n. 165/2001 (D.P.R. 24 settembre 2004, n. 272), è stata approvata la legge finanziaria per il 2005, la quale ha previsto immissioni in ruolo, a decorrere dall’anno 2006, di funzionari e dirigenti nel Ministero dell’Economia e delle Finanze e nelle Agenzie fiscali a seguito di uno “speciale concorso pubblico”, disciplinato con “decreto non regolamentare” del Ministro dell’Economia e delle Finanze anche in “deroga” alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 cit.

A questo punto, pare possibile prevedere non solo un’ulteriore proroga dell’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate al 31 dicembre 2006 ma, soprattutto, sembra possibile immaginare che gli incarichi dirigenziali conferiti ai funzionari non dirigenti in base al richiamato art. 24 possano essere presi in una qualche “considerazione”, se non ai fini dell’ammissione al concorso quantomeno ai fini della valutazione dei titoli, con conseguente elargizione di cospicui punteggi.

Si potrebbe obiettare che una simile previsione sia alquanto maliziosa e che non è detto che le cose vadano proprio così.

Tuttavia, se è vero che, come diceva un politico della prima Repubblica, ad essere maliziosi si commette peccato ma ci si indovina sempre, in questo caso non è necessario commettere alcun peccato, poiché le cose, e bisogna darne atto, appaio quantomeno chiare ed alla luce del sole, anche se la luce, più che illuminare le cose, dovrebbe illuminare la ragione.

Sembrerebbe finanche retorico chiedersi perché il decreto ministeriale non regolamentare dovrebbe poter “derogare” alle disposizioni di cui all’art. 28 del D.Lgs. n. 165/2001, se solo si considera che, a seguito di altro ricorso della scrivente organizzazione sindacale, è stato annullato dal giudice amministrativo il bando di un concorso per 300 posti di dirigente proprio perché, guarda caso, l’Agenzia delle Entrate aveva in quella occasione violato i principi enunciati proprio dall’art. 28 del D.Lgs. n. 165/2001.

Insomma, quella possibilità di deroga potrebbe risolversi in una violazione del principio della par condicio tra i funzionari candidati alle future procedure selettive per l’accesso alla dirigenza, a seconda che agli stessi siano stati o meno conferiti intuitu personae incarichi dirigenziali, come la stessa Agenzia delle Entrate da sempre sostiene barricandosi dietro le “capacità ed i poteri del datore di lavoro privato”.

In questa ottica, la scrivente organizzazione sindacale ha promosso un contenzioso dinanzi al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’art. 24 del Regolamento di amministrazione e, con motivi aggiunti, l’annullamento della sua prima proroga al 31 dicembre 2004.

Tuttavia, l’assunzione da parte delle scrivente organizzazione sindacale dell’ufficio del “tribunato” potrebbe comportare per la stessa un costo notevole, non solo in termini economici, ma soprattutto sindacali: ci si può facilmente attendere che una qualche altra farneticante organizzazione sindacale, fraintendendo maliziosamente il reale significato dell’iniziativa, vada gridando a quattro venti che la Dirpubblica agisce contro gli interessi del Personale il quale preferirebbe la graziosa attribuzione di incarichi dirigenziali in favore di qualche funzionario che non veder affermato un principio generale per cui l’accesso alla dirigenza deve avvenire in condizioni di uguaglianza mediante l’espletamento di una trasparente ed imparziale procedura selettiva.

Il rischio è che l’ipotizzata farneticante organizzazione sindacale possa aver anche qualche probabilità di successo, disponendo, siccome rappresentativa in base ai numeri di qualche anno fa, di un trombone più grosso, in grado di provocare un gran fracasso tale da nascondere le fievoli note suonate da un’organizzazione sindacale che, pur con pochi numeri, è rappresentativa d’esigenze che sicuramente non appartengono all’apparato sindacale ma alla collettività dei lavoratori.

Certo sarebbe bello se quel trombone venisse utilizzato per ricordare, alle Agenzie fiscali, che una pubblica amministrazione non è un’azienda gestita con capitale privato e che anziché produrre utili da distribuire agli azionisti è piuttosto preposta a funzioni di regolazione della società.

Purtroppo, almeno per ora, pare che le cose non stiano così.

È, quindi, convinzione della scrivente organizzazione sindacale che, fermo restando le iniziative già intraprese, sia auspicabile un intervento diretto dei funzionari e dei dirigenti, che hanno interesse a che gli incarichi dirigenziali vengano conferiti sulla base di criteri obiettivi e procedure trasparenti in modo da garantire a tutti parità di condizioni nei successivi sviluppi professionali e di carriera, e ciò al fine di dimostrare con forza non solo l’illegittimità dei predetti incarichi, sostenibile con argomentazioni di indubbio spessore giuridico, ma anche come gli stessi, al di là di ogni valutazione politico-sindacale, costituiscano una prassi sentita come ingiusta e lesiva degli interessi professionali del personale interessato.

In altre parole, si tratta di proporre ricorso avverso l’ultima delibera del Comitato di Gestione, acquisita a seguito dell’espletamento delle operazioni d’accesso ai documenti amministrativi, e con la quale, in ogni caso, è stato nuovamente prorogato l’art. 24 del Regolamento d’amministrazione al 31 dicembre 2005; una volta ottenuto l’annullamento della predetta delibera di proroga, appare evidente che l’Agenzia delle Entrate non avrà più alcuna base giuridica per procedere al conferimento d’incarichi dirigenziali intuitu personae, discriminando a suo piacimento i propri funzionari in vista delle prossime procedure d’accesso alla qualifica dirigenziale.

E’ ovvio che un simile intervento abbia maggiore significato ed una maggiore possibilità di riuscita ove il numero degli aderenti all’iniziativa sia cospicuo e, comunque, non inferiore a 150 persone.

I colleghi interessati possono aderire conferendo procura ad litem rilasciata, anche collettivamente, per atto notarile all’avv. Carmine Medici, utilizzando l’apposito modello che verrà diramato con successivo comunicato, ove saranno specificati anche i costi, contenuti in misura simbolica rispetto all’importanza dell’iniziativa, per ciascuno degli aderenti.